al cinema apollo
vetrinometro: quattro vetrine
"posso essere chiunque, essendo nessuno"
(da tutti i rumori del mare, di federico brugia)
è impossibile spogliarci di ciò che siamo. è inutile tentare di sparire, troncare ogni legame, costruire identità fittizie, sospendere ogni stato d'animo, vivere in una bolla anestetizzata di eterno presente. può bastare un contatto umano per costringerci ad assumere una nuova responsabilità nei confronti del mondo. per ricordare che un tempo avevamo un'anima. mi pare questo il cuore dell'opera prima di brugia, storia di un uomo che, fingendosi morto, sparisce dalla circolazione e si mette al soldo di trafficanti di vite, anonimo corriere dei vizi del prossimo. non esiste nè per la legge nè per il fisco, si trincera dietro mille passaporti e una faccia (quella, perfetta, di sebastiano filocamo) che potrebbe essere turca, calabrese o zingara. vive in un albergo abbandonato, superando a destra il titta de le conseguenze dell'amore, il film di sorrentino che viene alla mente in fretta guardando tutti i rumori del mare. perché il personaggio di servillo gli alberghi se li sceglieva aperti, e di lusso. qui siamo all'anonimato al quadrato.
non ha un nome, il protagonista, il tipo di uomo che si sveglia un minuto prima della sveglia (come un altro esiliato dalla vita visto di recente, il ferramenta di cosa piove dal cielo?), ha solo un abito anonimo, un'auto, un datore di lavoro, un collega ossessionato dalle passioni, che lui scansa con cura. ma un giorno, il trasporto di una "merce", sotto forma di ragazza che sembra troppo fragile per il mestiere, si incasina di brutto. è come la parola "rumore" che piove dall'alto nell'animazione dei titoli di testa: rompe la bolla, fa entrare le emozioni, costringe a lasciar scorrere il sangue. rimette in circolo i ricordi dell'uomo senza identità. che commette l'errore fatale frugando nella borsetta della giovane donna: si sa, le borsette delle donne sono piene di segnali di vita e di ricordi. una banconota spezzata sancisce che niente sarà più come prima. o sarà tutto come prima, ma altrove?
è affascinante il soggetto di questo film, spalmato di grigio come l'inverno eterno dell'est europa in cui si svolge e come il volto del protagonista. perché immagina un thriller sulla memoria, sulla coscienza, sul brutto vizio che ha la vita di riacciuffarti sempre. eppure esco scalpitando dal cinema. la studiata lentezza di tutti i rumori del mare confina in modo sospetto con uno sfoggio di bravura: esibito, sottolineato e più falso del falso, ricorda un certo tipo di spot pubblicitari dall'atmosfera rarefatta come l'interno delle auto che reclamizzano. la decisione più difficile si prende sotto la pioggia fitta, la musica entra a piedi uniti ogni volta che non se ne sente alcuna mancanza, la sceneggiatura si ostina a tirare tutti i fili o quasi, con il paradosso del boss pentito e del giovane criminale di buona famiglia che scrive lettere di riconoscenza. non prima di averci tediato con una tormentata vicenda d'amore caratterizzata da dialoghi strazianti e amplessi in slip bianchi: fra tanto gelo - giustificato dalla vicenda - guai a correre il rischio di annusare un po' di puzzo di vita. eppure è la pelle nuda il confine tra un corpo che può cambiare identità e le impronte - indelebili e dolorose - di ciò che siamo. e dalle quali nessuno sfugge. come questo film, tra l'altro, sa bene.
ps - ecco il trailer non doppiato del film. in sala, troverete la versione doppiata. cioè con attori dell'est europa che vengono fatti parlare come italiani dall'accento dell'est europa. una zavorra.
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