monsieur lazhar, di philippe falardeau, con mohamed fellag, sophie nelisse, emilien neron (can/2011/94') - all'anteo
vetrinometro: sette vetrine
come un marziano sulla terra, un algerino che ricorda la sagace ingenuità di tati sbarca in una scuola di montreal. occorre qualcuno che sostituisca un'insegnante, che si è tolta la vita in classe, nottetempo, ed egli si propone, ben sapendo cosa sia accaduto. la preside ha fatto ritinteggiare le pareti e affidato i ragazzini a una psicologa, ma il nodo di quella tragedia è nascosto fra i banchi, giù in fondo, e qualcuno dovrà scioglierlo. forse proprio il tati d'algeri, a sua volta in fuga da una separazione, dalla distruzione della sua famiglia, bruciata viva per punire le idee progressiste della moglie. la prima decisione del nuovo prof? spostare i banchi, che - per favorire i rapporti fra i ragazzi - l'insegnante scomparsa voleva a semicerchio. se un muro impedisce il cammino, non basta colorarlo di fresco. prova ad abbatterlo, piano piano.
falardeau propone un film sulla doppia elaborazione di un lutto: il suo lazhar, un lazzaro che spera di risorgere, non è un maestro come gli altri. poiché vive egli stesso un distacco a cui tenta di dare un senso - e che trasforma ogni possibile, nuovo amore in lacrime di nostalgia - non teme che i ragazzi si confrontino su quanto accaduto. ma, così facendo, viola le regole di una scuola in cui tutto deve essere mediato. è vietato, per esempio, ogni contatto fisico, anche quando la richiesta di affetto o il bisogno di offrirne diventano - spontaneamente, umanamente - più forti, soprattutto in un mondo in cui può capitarti una mamma che fa il pilota d'aereo e stasera "potrebbe essere a miami, o chicago, non lo so".
tutto deve essere mediato, anche la mescolanza culturale ed etnica: in una scuola-specchio di una società in cui le origini vengono costantemente rimarcate (basti la scena in cui lazhar domanda i cognomi dei ragazzi), brandite come giudizio (il colloquio serale con i due genitori) e vivisezionate (la lezione sugli indiani), il regista guarda al suo protagonista e al mondo che lo circonda dimostrando come, invece, le radici siano completamente intrecciate. falardeau, non sarà un caso, arriva da studi di politica, non di cinema. è toccante vedere lazhar che ascolta i suoni di una festa lontana, smette di lavorare e si mette a ballare sulle note di una musica della sua terra: quelle note non arrivano più dalla festa, sono frutto dell'immaginazione del maestro, ma lo spettatore se ne accorge un attimo dopo. come a dire: tra montreal e algeri, i suoni, non sono poi così distanti. anzi, possono fondersi. e le diversità si sanno sposare: due studentesse, a fine film, conversano amabilmente. una ha il velo, l'altro no. entrambe, indossano vistose scarpe arancioni.
ecco perché lazhar ricorda tati: egli è straniero al mondo cui appartiene e, in questo modo, ne mette in evidenza l'assurdità, facendone però emergere la poesia.
pieno di piccole gioie per lo spettatore, monsieur lazhar è infine un film su uno dei significati profondi dell'insegnamento: accompagnare verso l'età adulta, anche attraverso stati d'animo terribili come il senso di colpa. ed è un film sul potere della parola. che si insinua, fa riflettere, chiarisce. come la fiaba che chiude il film: lazhar (l'attore algerino mohamed fellag) è forse l'albero bruciato, ma ha ancora la forza di raccontare. e chi racconta, sparge vita come semi.
il trailer
treninellanotte@gmail.com
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