sabato 12 maggio 2012

diversamente abili, diversamente francesi

quasi amici, di olivier nakache ed eric toledano, com omar sy, francois cluzet, anne le ny (francia, 2011, 113') - nei cinema arlecchino, ducale, plinius, bicocca

philippe, un uomo di indiscutibile ricchezza e di raffinata cultura, seleziona un assistente personale. si presentano candidati dal curriculum invidiabile. eppure philippe sceglie driss, un giovanotto di colore, che sembra capitato lì per caso e che ha appena assaggiato le dure panche della prigione. i due sono destinati a diventare complici, come ci suggerisce l’adrenalinico ma sottilmente ingannevole inizio del film. perché la loro non sarà una complicità qualsiasi. quasi amici, il lungometraggio francese che ha incassato di più in Italia (oltre 14 milioni di euro), è una commedia lanciata a tutta velocità verso un precipizio, visto che philippe è legato a una sedia a rotelle, il corpo abbandonato e insensibile come quello di una marionetta e il pericolo che il film piombi giù, nel patetico o nel crudele, è imminente, quanto l’arresto per i due protagonisti nella scena iniziale. e invece funziona, e benissimo. 

perché si rivela una storia sul diritto alla felicità, che è di tutti, e su una relazione possibile fra persone “condannate a restare ai bordi”, tessuta intorno a due personaggi opposti: philippe potrebbe avere tutto ciò che desidera, ma non può muoversi senza un aiuto, driss arriva dalle periferie più disagiate, non ha né denaro, né prospettive, è un allegro naif scurrile e inopportuno, ma “sconvolge” la quotidianità di philippe restituendogli la gioia di vivere. tra zingarate notturne, risate inopportune all’opera e picconate (anzi, colpi di pennello) al suo ambiente intellettuale. non a caso il titolo originale del film è intoccabili: i due protagonisti appartengono cioè a mondi dei quali è buona norma fingere di occuparsi (i diversamente abili e gli immigrati), ma che in realtà i più trascurano o non rispettano. certo, philippe è un miliardario e può permettersi ciò che vuole: ma il film ha bisogno di un accostamento improbabile e di meccanismo narrativo che rischi di apparire una favola ruffiana (e forse si salva sulla linea di porta), proprio per invitare a una riflessione sull'ipocrisia del politicamente corretto e sui margini della normalità (di vario genere). come, del resto, riesce a fare anche il libro da cui è tratto il film, il diavolo custode, di philippe pozzo di borgo. philippe, già. come quello del film. perché questa è una storia vera.

treninellanotte@gmail.com

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