lunedì 2 aprile 2012

il mio amico long john

questo tenta di essere un blog di cinema, ma anche di visioni. e, quindi, anche di libri e di sport. beh, mi ha colpito il modo un po' frettoloso, quasi marginale, con il quale molti mezzi di comunicazione hanno raccontato la morte di giorgio chinaglia. fuoriclasse sopra le righe di una squadra sopra le righe come la lazio che vinse il suo primo scudetto, il 12 maggio 1974. lo stesso giorno del referendum che introdusse il divorzio in italia, spingendo il paese un passo fuori dalle sacrestie e verso la modernità (per quanto ieri, 1 aprile 2012, 7 milioni di spettatori abbiano speso la sera guardando maria di nazareth su raiuno e qualche dubbio ti venga). in una coincidenza, due eventi rivoluzionari (la lazio non avrebbe più vinto il titolo fino al 2000).

chinaglia era un toro, un attaccante che si trascinava dietro tutto, un toscanaccio figlio di un toscanaccio emigrato in galles per lavorare in un'acciaieria. forse non a caso fu lui a servire a bettega il pallone per la prima vittoria azzurra a wembley, contro l'inghilterra, nel 1973. una rivincita per tanti italiani sradicati come suo padre. chinaglia era il simbolo di una squadra anarchica, unita in campo quanto divisa fuori, folle, nera e autolesionista come folle, nera e autolesionista è da sempre la lazio. prese a ceffoni un tifoso della roma che lo apostrofò in un cinema, ruppe l'orologio che un compagno di squadra sfoggiava orgoglioso solo per dimostrare che non era infrangibile, magari partecipava al gioco preferito dai laziali nei noiosi ritiri prepartita (sparare dietro un hotel), si fece dare del disadattato dal ct valcareggi e del goffo da pasolini. ma "long john", che la lazio l'ha pure acquistata e tentato di riacquistare, era anche un'icona sportiva degli anni settanta, e la gente lo invocava con uno slogan che sa di scontri di piazza degli anni settanta ("giorgio chinaglia è il grido di battaglia"), un po' come accadeva a milano per l'asso della xerox di basket chuck jura ("lotta jura senza paura").

ma l'avventura di quel gruppo e di quello scudetto - ecco il motivo del post - è molto ben raccontata in un libro del giornalista guy chiappaventi, pistole e palloni (ed. limina, 2004), che vorrei consigliare a chi ama il calcio - in quanto romanzo di vita -, a chi ha capito che una squadra vincente può non essere una comitiva dell'oratorio, a chi ha un debole per i campioni senza collare, a chi ha nostalgia degli anni settanta magari senza averli vissuti o avendoli guardati dal basso, a chi cerca spunti per un buon documentario. o magari per un film come il mio amico eric. il mio amico giorgio. beh, ma noi un ken loach non lo abbiamo. e poi chinaglia non era esattamente un red.

treninellanotte@gmail.com

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