sabato 13 ottobre 2012

caro bonami

ci tenevo a scrivere qualcosa su questo articolo pubblicato da la stampa, a firma di francesco bonami. perché non ne condivido un rigo. ma purtroppo esprime un pensiero diffuso, anti intellettuale, supporto colto alla logica dell'io vado al cinema per divertirmi. come se io andassi per fare penitenza. leggete l'articolo, se avete voglia.

da parte mia, qualche osservazione.

il cinema italiano non sa più raccontare storie? non è vero. un piccolissimo film come l'intervallo racconta una storia di grande ricchezza. si dirà, è un film per pochi. certo. ma forse anche perché viviamo in un paese sempre più superficiale, distratto, poco curioso (e dove, tra l'altro, la distribuzione di un certo cinema è miserrima). penso di averlo notato in anni da animatore di cineforum: se il film esce dagli schemi, panico e rabbia in platea. ma poi, le ovvietà trionfano a mani basse. il discorso del re è visto come un capolavoro. lasciami entrare scatena polemiche. il problema è il cinema o il pubblico? in altre parole: dev'essere leonardo di costanzo, il regista de l'intervallo, a semplificare o deve essere lo spettatore a fare uno sforzo? e chi parla al grande pubblico, magari, invitare a fare un gradino in più? fare cultura è avanzare (e rischiare) o mettersi più comodi?

bella addormentata racconta il nostro ombelico? un accidenti. piuttosto, racconta l'ombelico di un paese. e lo fa anche, secondo me, con una certa efficacia. resto dell'idea che il pubblico vada spinto a sfidare un film come quello di bellocchio (che poi sfida non è, se si pensa a cos'era il bellocchio di altre pellicole). insomma, se un film parla a poche persone non è necessariamente un film sbagliato. forse è il pubblico che ha perso voglia di vedere (non di guardare).

finiamola con questa storia del cinema per pochi. ci sono buonissimi film italiani che hanno poco pubblico non perché particolarmente sofisticati ma perché il pubblico è spesso pigro, poco disposto a mettersi in gioco, afflitto dalla logica dello "speriamo che finisca bene", come se fosse inter-milan. faccio lo snob? no. voglio continuare a vedere film che mi mettono in difficoltà, da vari punti di vista. e spero che chi fa un cinema "per elite", come scrive bonami, non rinunci per incassare il triplo.

i soldi sono pubblici? pago le tasse più volentieri per un giovane regista che il canone per don matteo. e credo che se ci affidassimo solo alle produzioni con soldi della tv, un cinema davvero diverso dal solito lo vedremmo poco.

non si comprende come mai un romanzo possa essere impegnativo, un film no. estremizzando: viaggio al termine della notte, di celine, o qualunque pagina di philip roth è più difficile da leggere di dan brown. però ti fa godere. cosa facciamo? riscriviamo celine in forma di fiction? o ci sforziamo di leggerlo?

paragonare chaplin a bellocchio è assurdo, non per la diversa statura dei due cineasti ma perché fanno, semplicemente, cinema diverso, in epoche diverse, per un pubblico diverso.

il cinema italiano incassa meno? aiutiamolo a crescere, quando merita.

treninellanotte@gmail.com


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