lunedì 25 giugno 2012

a lezione di eccesso

detachment-il distacco, di tony kaye, con adrien brody, james caan, sami gayle (usa, 100', 2011)

al cinema anteo

chi ha meno certezze di un prof? un mese, un anno, una vita in una classe, in una battaglia impari contro i propri limiti, i limiti della scuola, la diffidenza, la rabbia e la vulnerabilità di un gruppo di giovani. può solo sperare di gettare un seme, di suggerire una curiosità, di far scattare un colpo di fulmine. ma è precario che più precario non si può. soprattutto se ha deciso di proteggersi dai rapporti umani, di non andare oltre un certo limite. è la particolare condizione (umana, molto prima che professionale) incarnata in questo film da un vivissimo adrien brody, nell'elegante completo scuro di un docente a termine.

detachment - il distacco racconta la sua breve avventura in un liceo-border line della zona di new york. girato con uno stile febbrile che a volte ricorda cassavetes, tutto un lampeggiare di zoom in digitale e inframezzato da considerazioni del protagonista e da disegni animati su lavagna più dark di itchy&scratchy, il film di kaye fotografa in modo gelido e tagliente il fallimento della professione di insegnante. categoria sfruttata e invisibile, senza mai un grazie in tasca. anche perché, dall'altra parte, c'è il fallimento dei genitori, a loro volta invisibili. ma se, tra i docenti del film, c'è chi crede di non essere visto perché nessuno, nemmeno in famiglia, si occupa di lui, i genitori no, non vengono quasi mai mostratipiù assenti di così, non si può. al massimo sono voci al telefono o disprezzo fuori campo per la figlia, l'unica - guarda caso - dotata di qualche talento in un panorama di rinunciatari e violenti.


ma il cuore del film è la vita privata del professor brody, adulto segnato da una sensazione di impotente fallimento, ex bambino colpito da una terribile violenza famigliare, eppure ancora devoto nipote del nonno che l'ha compiuta. è single, il professore, sguscia ogni mattina da una casa asettica, associa il sesso alla sofferenza, come ci avverte il montaggio alternato della scena in bus: lui in lacrime mentre una giovane prostituta si lavora un cliente. brody finirà per portarsela a casa, come farebbe un padre, però. l'unico padre in scena qui.


il fatto è che c'è troppo, in questo film. troppo bisogno di esibire il dolore (occorre mostrare chi ci sia dietro la porta che un infermiere dell'ospizio non può aprire?), di enfatizzare il disagio (la preside sconfitta gettata sul pavimento), di pompare retorica (le riflessioni del protagonista sul mestiere di genitore), di dare al film una profondità tragica per giustificare la fragilità del protagonista. un uomo emotivamente distaccato che si difende da relazioni troppo toccanti e, quindi, preferisce passare di scuola in scuola. solo che non occorre un'infanzia rubata per temere l'abbraccio, metaforico o no, con chi ci ha intuiti o per rendersi conto di quanto possa essere vana la battaglia di insegnare. e non occorre un suicidio terribilmente telefonato per sottolineare il fallimento di una generazione di adulti.


e poi quel ragazzo con la bandana che alla fine del film ringrazia il prof per ciò che ha saputo dare. qualcosa che hanno visto tutti, tranne gli spettatori. forse è solo un paradosso? 


eppure leggo solo recensioni dense di entusiasmo. e, quindi, è possibile che non abbia compreso nulla.


cosa c'è da vedere a milano - l'agenda di treninellanotte: domani, martedì 26, all'anteo (ore 20) e a palazzo reale (21.30), il documentario marley, di kevin macdonald

treninellanotte@gmail.com

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