venerdì 26 ottobre 2012

di uomini e di conigli

killer joe, di william friedkin, con matthew mcconaughey, emile hirsch, juno temple (usa/2012/103')

vetrinometro: sette vetrine 

volendo, è tutto in quella sequenza girata allo strip bar, quando chris spiega al padre il piano per uccidere la madre e fregare l'assicurazione. i due camminano sotto un ripiano trasparente sopra il quale sta ballando una ragazza, sinuosa come un serpente. ci sono dei dollari, sul ripiano. sesso e denaro, insomma, desiderio e tomba al tempo stesso. chris, che ha un debito con certi brutti ceffi, viene a sapere che un poliziotto che si fa chiamare killer joe combina lavoretti puliti. ma i soldi per pagarlo in anticipo non ci sono, e allora il sicario mette gli occhi su dottie, la sorellina di chris, una lolita tutta purezza e bambole che si agita nuda persino nei sogni del fratellino poco di buono. killer joe la considera la sua caparra. nasce così, diciamo, la storia di cenerentola perversa con un principe dai capelli chiari e il cuore nero. non finirà benissimo.

siamo in un bestiario umano. i personaggi sono fortemente connotati dal loro aspetto. chris, l'avido idiota che provoca tutto, subisce un pestaggio e passa metà del film a trascinarsi una gamba, il volto tumefatto, gli abiti sgualciti: incarna la sorte avversa di chi si illudeva di fregare tutti. il padre ansel è un cavernicolo, l'unico abito elegante gli si scuce addosso sul più bello: è quello che è, non può e non sa fingere. la sua seconda moglie circola con un paio di occhi da gatta che sanno di inganno lontano un miglio: il suo trucco provocatorio si frantumerà in lacrime. qui, del resto, chiunque frega chi può. dottie è turbamento fatto carne e i veri giocattoli non sono quelli che custodisce in camera: diventeranno gli altri protagonisti. killer joe, infine, è il diavolo: non veste prada ma in quel consesso di straccioni ogni dettaglio della sua armatura (giacca, cappello, revolver, manette, stivali) ne fanno una presenza dominante e carismatica. il cagnaccio di chris, che abbaia a tutti, si ammutolisce solo davanti a lui.

intorno c'è il texas, ma il mito è nudo, tra case-caravan, ferrovie per nessun dove, archeologia industriale, luna park vuoti. "chissà perché tutti vogliono venire qui", si lamenta chris, a un certo punto. chris che coltivava conigli ed era contento di farlo, finché un giorno non si sa quale bestia ha fatto ammalare l'intero allevamento e i conigli sono impazziti. il male che aggredisce l'uomo, facile preda. mentre il cielo e lo schermo sono attraversati dai fulmini di un temporale. stiamo parlando di friedkin, non di pupi avati.

un film di origine teatrale, violento, perverso, guardone, sgradito in curia, profondamente pessimista ma con tutta l'ironia necessaria per fregarsene. è solo un film, appunto. anche se la storia è vera.

visto all'arlecchino, cinema che più di ogni altro a milano vive sospeso fra gli ultimi souvenir di un'epoca d'oro - marmi, poltrone, velluto rosso - e la sensazione che quell'epoca sia finita. è come aggirarsi, da fantasmi, in un museo. il bar è chiuso e la maschera guarda il film stravaccato in fondo alla sala. se tra due mesi diventasse un negozio di abiti, non mi stupirei.

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